Pubblicata nella rivista scientifica on-line giustiziacivile.com, all’interno della sezione dedicata al lavoro, la nota alla sentenza della Cassazione Civile, Sez. lav. – 19 febbraio 2016, n. 3291. La Corte di Cassazione ribadisce che le nozioni di mobbing e straining hanno natura medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici. In sostanza servono soltanto per identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l’art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro.
Ecco la massima della sentenza pubblicata unitamente alla nota.
Ai sensi dell’art. 2087 c.c. norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative stressogene (cd. straining), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno” (massima ufficiale; fonte: CED Cassazione) (Rigetta, App. Brescia, 01/04/2014).
Per visualizzare l’intero contributo clicca qui sotto.