Martina Costantino, settembre 2017
I “controlli” del datore di lavoro
È ormai piuttosto assodato (anche se non sempre condivisibile per le modalità) che la società datrice di lavoro possa controllare come il proprio lavoratore, fruitore dei permessi o congedi “104”, utilizzi le ore non lavorate. Tali controlli avvengono di norma tramite agenzie di investigazione privata.
Quello che invece è ancora dubbio è cosa possa fare il datore di lavoro con i risultati di tale controllo e quindi, in sostanza, quali possano essere le conseguenze sanzionatorie per il lavoratore che dovesse essere “sorpreso” non in compagnia del disabile durante le ore di permesso.
Il nocciolo della questione sta nel ritenere legittima o meno la circostanza per cui non tutte le ore di permesso richiesto, specialmente quelle che sarebbero rientrate nell’orario lavorativo, siano impiegate dal dipendete per prestare assistenza al parente disabile.
Premessa normativa
L’art. 33 della L. 104/1992 così dispone: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa […]”.
I “controlli” del datore di lavoro
È ormai piuttosto assodato (anche se non sempre condivisibile per le modalità) che la società datrice di lavoro possa controllare come il proprio lavoratore, fruitore dei permessi o congedi “104”, utilizzi le ore non lavorate. Tali controlli avvengono di norma tramite agenzie di investigazione privata.
Quello che invece è ancora dubbio è cosa possa fare il datore di lavoro con i risultati di tale controllo e quindi, in sostanza, quali possano essere le conseguenze sanzionatorie per il lavoratore che dovesse essere “sorpreso” non in compagnia del disabile durante le ore di permesso.
Il nocciolo della questione sta nel ritenere legittima o meno la circostanza per cui non tutte le ore di permesso richiesto, specialmente quelle che sarebbero rientrate nell’orario lavorativo, siano impiegate dal dipendete per prestare assistenza al parente disabile.
Le finalità dei permessi e dei congedi “104”
In passato, il presupposto di legge per la concessione del permesso retribuito era che il dipendente assistesse il familiare disabile “con continuità e in via esclusiva”. Tuttavia, non era necessario – dal momento che mancava una indicazione in tal senso nella lettera della norma – che il lavoratore prestasse la propria assistenza ininterrottamente, 24 ore su 24. Già quindi con la vecchia formulazione, la disposizione non poneva alcuna espressa restrizione in termini di ore da dedicare e non dedicare alla cura del familiare.
A maggior ragione oggi, avendo il Legislatore del 2011 eliminato i presupposti della continuità e dell’esclusività, non si può parlare di obbligo del lavoratore a rimanere con il familiare bisogno di cure in modo ininterrotto. A nulla pertanto rileva, a fini disciplinari, se il dipendente, durante le ore di permesso, si allontani o meno dalla persona bisognosa.
Infatti, giurisprudenza ormai costante è concorde nell’affermare che se nei normali giorni lavorativi il dipendente presta assistenza al familiare al di fuori dell’orario lavorativo, non vi è ragione di ritenere che qualora questo si trovi invece ad usufruire di un permesso, debba dedicarsi esclusivamente e costantemente al disabile. Anzi, i permessi servono a chi assiste un familiare disabile proprio a poter godere di un po’ di riposo, di un tempo per sé e per la propria vita sociale, dal momento che per il resto il soggetto viene “gravato” non solo dal lavoro ma anche dal ruolo di caregiver. Ovviamente, con dei limiti. Usufruire dei permessi per “ricaricare le batterie”, scegliendo quindi quale sia il tempo da dedicare all’assistenza è possibile, ma non completamente discrezionale: l’assistenza deve comunque esserci.
Tale principio è stato efficacemente riassunto dai giudici penali della Suprema Corte, che nella sentenza n. 54712/2016, scrivono: «colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33/3 L. 104/1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla perdona handicappata. Di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo richiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi alcuna cura».
Un precedente: la Corte d’Appello di Torino
La Corte d’Appello di Torino, già il 9 gennaio del 2014 con la sentenza n. 35, aveva avuto modo di esprimersi su alcuni punti critici legati alla norma in esame.
In particolare, i giudici, nel sottolineare la natura solidaristica dell’art. 33 L. 104/1992 – inteso come norma rivolta all’esclusiva tutela del disabile e non invece atta a rappresentare un privilegio per i destinatari del permesso – avevano chiarito come le variegate necessità di un soggetto bisognoso di cure devono necessariamente coordinarsi con chi offre tali cure.
Per questa ragione, la Corte aveva dichiarato illegittimo il licenziamento di una dipendente, fruitrice del permesso 104, che era stata accusata e licenziata per non aver passato le ore di non lavoro retribuite con la nonna disabile. Le ragioni poste alla base della decisione dei giudici si sono fondate proprio sulla prova, emersa durante l’istruttoria, della concreta assistenza che la lavoratrice prestava quotidianamente alla familiare e, quindi, alla conseguente irrilevanza di come questa avesse speso le ore di permesso 104.
Una recente ordinanza del Tribunale di Milano
Anche il Tribunale di Milano, con una recentissima ordinanza, la n. 16488/2017, conferma i suddetti principi, già espressi anche dalla Corte di Cassazione (da ultimo con la sentenza n. 4106/2016).
In particolare, il caso di specie era inerente un licenziamento per giusta causa di una lavoratrice che durante le ore di permesso “104” aveva lasciato l’abitazione del padre disabile per quattro ore pomeridiane. Il giudice di primo grado, ritenendo che le circostanze del caso fossero atte a dimostrare che la donna avesse in effetti prestato assistenza continuativa al padre nei giorni precedenti e, in particolare, durante le ore notturne – essendosi infatti trasferita a casa dei genitori già i due giorni precedenti alla richiesta di permesso – ha sancito l’illegittimità del licenziamento per sussistenza del fatto addebitato e, pertanto, la reintegra della lavoratrice ai sensi dell’art. 18, comma 4°, L. 300/1970.
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