Premessa
Abbiamo già trattato, in un precedente contributo di questa rivista, dei rapporti tra tutela della salute e tutela contro le discriminazioni nei casi di gruppi di lavoratori soggetti a rischi particolari (lavoratrici in stato di gravidanza, differenze di genere, età, provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione); abbiamo anche sottolineato che sussistono importanti analogie e punti di sovrapponibilità tra i gruppi omogenei considerati dalla normativa sulla salute (d.lsg. 81/2008, art. 28) e dalla normativa contro le discriminazioni.
In questo contributo ci concentreremo maggiormente sulle opportunità che si possono creare attraverso la tecnologia, a vantaggio delle categorie maggiormente esposte in ragione dell’età e della disabilità.
Tecnologia, tutele e fattore età
Per quanto riguarda il primo fattore di rischio occorre premettere che i lavoratori possono essere esposti a maggiori rischi quando sono particolarmente giovani (di età inferiore ai 29 anni) per l’inesperienza o la job insecurity; oppure quando sono over 50.
Le persone maggiormente a rischio salute e discriminazioni, sono senz’altro i lavoratori over 50.
Con un’approssimazione estrema possiamo sintetizzare che la maggiore esposizione al rischio “salute” è dovuta, in particolare, a problematiche di tipo fisico (riduzione della forza muscolare, diminuzione della motilità delle articolazioni ed elasticità dei tessuti, aumento delle patologie del rachide, maggiore difficoltà a mantenere la postura e a sopportare sforzi prolungati), di tipo sensoriale (diminuzione della capacità visiva e uditiva), di tipo cognitivo (maggiore difficoltà ad adeguarsi a cambi improvvisi dei processi produttivi, minor prontezza di riflessi e memoria), maggiore probabilità di insorgenza di malattia (diabete, colesterolemia, osteoporosi).
Ciò comporta, per il lavoratore over 50, una difficoltà mediamente più alta nello svolgimento delle mansioni assegnate.
Il dato dell’invecchiamento della popolazione legato al cambio delle norme pensionistiche e le connesse problematiche è ormai noto e non può essere ignorato dai datori di lavoro in sede di valutazione dei rischi e di adozione di misure o soluzioni appropriate e ragionevoli.
E questo serve anche per prevenire pratiche discriminatorie o di molestie come lo straining del lavoratore anziano per “convincerlo” a lasciare il lavoro.
Possono pertanto e anzi debbono – se il contesto specifico sul piano della valutazione dei rischi lo richiede – essere poste in atto una serie di misure o adattamenti atti a valorizzare la figura del lavoratore non più giovane e a mantenere la sua integrazione all’interno del luogo di lavoro.
Tali misure, oltre ad assicurare la protezione dei lavoratori di età avanzata, prevengono rischi specifici e anche le discriminazioni. Inoltre tendono al mantenimento dell’impiegabilità dei lavoratori, a migliorare l’ambiente di lavoro e ad aumentare la produttività.
Un caso di successo è quello iniziato nel 2007 in uno stabilimento BMW nella Baviera meridionale. Si è trattato di un esperimento pilota nell’unità “cambi” caratterizzato dalla costruzione della cosiddetta ‘linea dei pensionati’, composta per circa il 30% da over 50 anni e per il 18% di operai con età inferiore ai 30 anni.
Vi è stato un forte coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte organizzative e l’esperienza pilota ha generato incrementi di produttività, diminuzioni dell’assenteismo e grande affiatamento dei gruppi di lavoro, mentre l’invetimento economico è stato ridotto.
In particolare l’investimento è servito a realizzare, anche con la consulenza di fisioterapisti, modifiche sia dell’organizzazione che della fabbrica e delle attrezzature di lavoro, dai pavimenti in legno, alla tipologia delle calzature e delle sedie, ai monitor orientabili, alle lenti di ingrandimento, alla tipologia dei tavoli di lavoro ed all’ingrandimento dei caratteri sugli screen saver [1].
Altro esempio: si sta lavorando all’utilizzo degli esoscheletri robotici per migliorare gli standard di vita di persone che necessitano di una migliore mobilità e di ottimizzare le modalità di lavoro nell’ambito industriale e dei servizi; tra queste, principalmente, i lavoratori in età avanzata e le persone con disabilità.
La sperimentazione di questi strumenti indossabili è particolarmente avanzata nel settore automobilistico, con risultati interessanti [2].
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e vanno dallo smart-working (per evitare alla persona in età avanzata spostamenti eccessivi), alla progettazione di sistemi di illuminazione, dal curare gli spazi di lavoro, evitando rumori e fastidi, alla progettazione di software più semplici da utilizzare, dal curare la corretta insonorizzazione o predisporre segnali acustici o vibrazioni, alla formazione mirata (tecnologica e anche sulle soft skills), a percorsi di carriera differenziati e così via.
Nell’era Industria 4.0 i licenziamenti tecnologici nonché le molestie morali e le discriminazioni sono in forte aumento. Registriamo nella pratica forti discriminazioni anche nella formazione 4.0.
I lavoratori in età avanzata, infatti, non risultano (in misura percentuale elevata) formati, a livello di istruzione primaria, secondaria, universitaria e post-universitaria, sulle nuove realtà tecnologiche, che sono peraltro in continua evoluzione (integrazioni digitali, industrial internet, cloud, cyber-security, big data analytics). Con l’effetto che gli stessi lavoratori rischiano di subire una forte marginalizzazione, fino all’esclusione dal lavoro.
Un’attenzione particolare va quindi rivolta soprattutto alla formazione, anche attraverso le nuove tecnologie digitali: ad esempio la progettazione di software e altri strumenti con istruzioni facili da comprendere e altrettanto semplici da utilizzare.
Tecnologie, tutele e fattore disabilità
Ma esiste un ambito in cui opera un vero e proprio nesso tra la mancata adozione di misure anche legate alla salute, sicurezza, inclusione e discriminazione.
E’ il fattore disabilità, che attraverso la normativa sui ragionevoli accomodamenti ha un forte impatto sull’organizzazione del lavoro e sulla tutela della persona.
Si tratta di una normativa, contenuta nel D.lgs. 216/2003, art. 3, 3-bis, che impone al datore di lavoro di adattare l’organizzazione del lavoro e della produzione alla persona con disabilità; ciò a condizioni di ragionevolezza e sostenibilità (economica ma non solo).
Le misure obbligate possono essere di tipo architettonico, ambientale, biomedico, ingegneristico, logistico, organizzativo, formativo, ecc..
Qualora l’azienda non dovesse adottare queste misure la sanzione è quella della nullità sancita dal diritto antidiscriminatorio (v. sempre D.lgs. 216/2003).
Si ricorda infatti che la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, richiamata dal nostro legislatore, equipara il rifiuto di adottare un accomodamento ragionevole a una discriminazione.
Esiste peraltro un fondo dell’Inail che prevede un aiuto per le imprese che attuano progetti di inserimento, reinserimento e formazione destinati alle persone con disabilità, per cui le aziende potrebbero affrontare questi cambiamenti a costi veramente contenuti [3].
E, come si può intuire, tutta la strumentazione di cui abbiamo parlato a supporto delle persone in età avanzata – soprattutto se la ricerca porta a un miglioramento delle prestazioni prestazioni e a un abbattimento dei costi – potrebbe costituire un ragionevole accomodamento per le persone con disabilità.
Facciamo un esempio tratto dalle aule di Tribunale, e in particolare del Tribunale di Ivrea [4].
Una lavoratrice disabile era stata licenziata perché, per gravi problemi alla schiena, era stata ritenuta non idonea alle mansioni. La lavoratrice si rivolgeva al Tribunale sostenendo che il suo licenziamento fosse illegittimo in quanto con piccoli accorgimenti la società avrebbe potuto rendere la postazione di lavoro (e conseguentemente le mansioni affidate alla lavoratrice) compatibile con le sue condizioni di salute. Il Giudice, tra le varie prove, disponeva una Consulenza Tecnica per verificare “se fosse possibile – senza stravolgere la produzione – posizionare all’interno del reparto dove lavorava la signora, due pedane oleodinamiche che consentissero di elevare cassoni con sponde abbattibili contenenti i pezzi grezzi e lavorati, in modo da eliminare o grandemente diminuire i piegamenti degli addetti ai macchinari stessi, quantificando i relativi costi”.
Il caso si è concluso con la reintegrazione della lavoratrice, dal momento che il Giudice ha accertato che “la soluzione tecnica per evitare un eccessivo sforzo della schiena della ricorrente” (che, quotidianamente doveva compiere tra le 400 e le 600 flessioni, di ampiezza variabile a seconda del riempimento dei cassoni) prevedeva un esborso di circa 10.000,00 euro, vale a dire, in rapporto al fatturato, una cifra assolutamente modesta ragionevole e proporzionata agli interessi di causa.
Conclusioni
La tecnologia, lo studio di soluzioni, di percorsi e di processi organizzativi differenziati, sulla base di quanto brevemente detto in questo contributo, possono dunque costituire un efficace strumento per tutelare la salute e anche per prevenire le discriminazioni delle persone in età avanzata e delle persone con disabilità.
[1] Carlo Des Dorides, “Politiche di active aging, un’opportunità per le aziende”, a questo link https://www.aidp.it/hronline/2016/1/1/politiche-di-activeageingunopportunita-per-le-aziende.php
[2] Fontanelli, In fabbrica arriva l’operaio robocop, in https://gallery.mailchimp.com/062e23fa4bdafcce9f85086cf/files/1eb9aa25-0d4f-43e8-87e7-63b1e6b9715f/20180419_In_fabbrica_arriva_l_operaio_Robocop.pdf.
[3] L. 23 dicembre 2014, n. 190, comma 166, che regolamenta i sostegni Inail per gli accomodamenti ragionevoli a favore delle persone con disabilità e successive integrazioni.
[4] Tribunale di Ivrea, 24 febbraio 2016, Ordinanza dott. Fadda.
Qui l’articolo pubblicato sulla rivista Pianeta Lavoro e tributi n° 7/2019.