– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE E IMMEDIATEZZA DELLA CONTESTAZIONE –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 10 ottobre 2017 n. 23699
Nell’ambito del licenziamento per giusta causa, l’immediatezza del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza del lavoratore addotta a giustificazione del licenziamento nonché rispetto a quello della sua contestazione da parte del datore di lavoro, è elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.
Infatti, nel caso in cui la contestazione e/o il licenziamento disciplinare non intervengano in modo tempestivo si deve ritenere che il datore di lavoro abbia ragionevolmente soprasseduto dal porre in essere il licenziamento, non ritenendo i fatti contestati così gravi (o comunque la colpa del lavoratore non meritevole della più grave delle sanzioni).
– RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO EX ART. 2087 COD. CIV. –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 24 ottobre 2017 n. 25151
In caso di accertamento di una malattia per cause di servizio è necessario distinguere se questa sia dovuta alle condizioni di insicurezza dell’ambiente lavorativo o, invece, alla qualità intrinsecamente usurante dell’ordinaria prestazione lavorativa e al logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro particolarmente impegnativo per un periodo più o meno lungo di tempo.
La responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. richiede un inadempimento contrattuale suscettibile di venire in considerazione, quantomeno, sotto il profilo colposo.
– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE E RECIDIVA –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 24 ottobre 2017 n. 25143
Quando la condotta contestata al lavoratore sia così grave da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che deve necessariamente sussistere tra il datore di lavoro e il lavoratore, il licenziamento è legittimo anche nel caso in cui emerga che la recidiva contestata in realtà non era sussistente.
Inoltre, nel caso di licenziamento per giusta causa in cui al lavoratore vengano addebitati una serie di episodi rilevanti sul piano disciplinare, non è necessario che la giusta causa – come tale idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro – sia ravvisabile nel complesso dei fatti contestati, bastando la sua evidenza in solo alcuni o uno di essi se comunque presentano il carattere del grave inadempimento di cui all’art. 2119 cod. civ.
– DICHIRAZIONE DEL LAVORATORE AL PROPRIO DIFENSORE E RINUNCIA ALL’IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 18 ottobre 2017 n. 24559
La vicenda ha tratto origine dal caso di un lavoratore che, licenziato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, ha impugnato l’atto di recesso.
In seguito, il lavoratore veniva assunto a termine dallo stesso e precedente datore di lavoro e, con lettera raccomandata, comunicava al proprio difensore l’intenzione di non promuovere più alcuna azione legale nei confronti della società.
Dopo alcuni mesi il lavoratore promuoveva un tentativo di conciliazione finalizzato ai impugnare tanto il detto recesso che il contratto a termine.
La Corte d’Appello di Roma, pronunciandosi sullo specifico motivo di doglianza proposto dalla società datrice in relazione alla rinuncia all’impugnazione rilevava che la comunicazione inviata al difensore dal lavoratore configurava a tutti gli effetti un’ordinaria rinuncia all’impugnazione del recesso, effettuata in sede non protetta e non più impugnabile per lo spirare del termine semestrale di cui all’art. 2113 cod. civ.
Le osservazioni della Corte d’Appello di Roma hanno trovato conferma con la sentenza in esame, secondo la quale la dichiarazione sottoscritta dal lavoratore può assumere valore di rinuncia o di transazione con riferimento alla prestazione di lavoro subordinato e alla sua relativa conclusione quando risulti accertato – alla luce dell’interpretazione del documento – che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza dei diritti per i quali si opera la rinuncia e con il proposito di abdicarvi o transigere sugli stessi.