a

News

Rassegna giurisprudenziale 20 settembre 2017, a cura di Martina Costantino

12.03.2021 | News

News

– MATERNITA’ –

Corte di Giustizia Europea, conclusioni avvocato generale C-103-16.

L’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, Eleanor Sharpston, chiamato a fornire le conclusioni nella causa C-103/16 asserisce che l’allontanamento dal posto di lavoro di una donna in stato di gravidanza può avvenire soltanto “in casi eccezionali” e laddove “non esista alcuna possibilità plausibile di riassegnarle a un altro posto di lavoro adeguato”.

Il caso di specie riguarda una cittadina spagnola, coinvolta in una procedura di licenziamento collettivo del proprio datore di lavoro, un importante gruppo bancario.

L’azienda, dopo l’accordo con i sindacati, aveva inserito all’interno della procedura la lavoratrice che all’epoca stava fruendo del congedo obbligatorio per maternità.

La dipendente ha quindi impugnato il licenziamento dinanzi al tribunale del lavoro spagnolo e, giunti in appello, la Corte ha rimesso la questione ai giudici europei.

La Corte di giustizia è chiamata quindi a pronunciarsi circa l’applicabilità del divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti nel caso di un procedimento di licenziamento collettivo che, secondo quanto detto dall’avvocato generale Sharpston, non sempre configura un “caso eccezionale”.

– SOPRAVVENUTA INIDONEITA’ ALLA PRESTAZIONE –

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 21 luglio 2017, n. 18020.

Nel caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione assegnata, la Corte di Cassazione, richiamando una pronuncia del 2010 (precisamente la n. 7531/10), ha precisato che “il licenziamento disposto dal datore di lavoro va ricondotto, ove il lavoratore possa essere astrattamente impiegato in mansioni diverse, al giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 […]”. Diversamente, continua la Corte, nell’ipotesi in cui la prestazione sia divenuta totalmente e definitivamente impossibile, senza possibilità di svolgere mansioni alternative, “va ravvisata una causa di risoluzione del rapporto che non ne consente la prosecuzione, neppure provvisoria ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.“.

– LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE –

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 24 luglio 2017, n. 18188.

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento di un dirigente.

Nel caso di specie il lavoratore censurava la violazione e falsa applicazione degli artt. 41, secondo comma e 2 Cost. e degli artt. 19 e 22 del CCNL per dirigenti di aziende industriali, i quali prevedevano la possibilità per il dirigente di adire un collegio arbitrare qualora il recesso non fosse stato ritenuto “giustificato”. In sostanza, secondo il lavoratore, non vi era stato nei precedenti gradi di giudizio “un equilibrato bilanciamento dei principi di libertà dell’iniziativa economica e di solidarietà sociale e tutela dei diritti soggettivi, in evidente contrasto con quello di correttezza e buona fede”.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ricordato che il dirigente non è soggetto alle norme limitative dei licenziamenti individuali previste dagli artt. 1 e 3 L. 604/1966 e che la nozione di “giustificatezza”, posta nel caso di specie dalla contrattazione collettiva, non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall’art. 3 L. cit. Tale nozione, continua la Corte, può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale; “ed esse non coincidono necessariamente con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.

– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE –

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 24 luglio 2017, n. 18184.

Secondo la Cassazione il licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro per essere legittimo deve essere conseguenza di un inadempimento grave da parte del lavoratore.

In particolare, torna ad affermare la Corte, la gravità deve essere valutata in senso più forte rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” statuita dall’art. 1455 cod. civ. Infatti, secondo la Corte è necessario che l’inadempimento sia tale da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto; la valutazione andrà svolta luce del parametro dall’art. 3 L. 604/1966 cioè quello dell’inadempimento notevole degli obblighi contrattuali.

Il caso di specie ineriva una cassiera del supermercato che accreditava la spese dei clienti sulla propria carta punti, accumulando punti equivalenti a 50 euro, spendibili sotto forma di sconti presso tutti i supermercati del medesimo circuito.

– ACCERTAMENTO NATURA SUBORDINATA DEL RAPPORTO DI LAVORO –

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 20 luglio 2017, n. 17912.

Ai fini del riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro non è sufficiente che il lavoratore sia inserito nella struttura aziendale. Il lavoratore, nel caso di specie, era un aiuto medico che lamentava la qualificazione del rapporto come autonomo, adducendo come prova il fatto che seguisse i turni di lavoro e che a volte si ritrovava ad essere l’unico medico del turno. La Corte conferma quanto statuito dalla Corte d’Appello che riformando la sentenza di primo grado confermava l’autonomia della prestazione, affermando che “il mero dato dell’inserimento nella struttura aziendale non è di per sé decisivo, non potendo del resto essere tralasciata la qualificazione del rapporto offerta dalle parti stesse in contratto”.

Tribunale di Firenze, sezione lavoro, ordinanza 11 gennaio 2017.

Quando si chiede l’accertamento incidentale della natura subordinata del rapporto di lavoro ai fini di ottenere la tutela per un licenziamento illegittimo, è sufficiente che il lavoratore indichi tutti le circostanze di fatto inerenti al rapporto, senza che sia necessario allegare il contratto collettivo di riferimento e l’inquadramento spettante. Una volta operata la riqualificazione, infatti, le somme dovute al lavoratore possono essere correttamente calcolate con riferimento al compenso mensile percepito in base al contratto di lavoro autonomo formalmente stipulato tra le parti.

– TRASFERIMENTO EX L. 104/1992 –

Tar Trieste, sezione I, sentenza 7 agosto 2017, n. 274.

La P.A. aveva rifiutato di concedere ad un militare il trasferimento temporaneo ex art. 33 L. 104/1992 per assistere un familiare disabile. Il richiedente era pronto a dismettere il suo incarico (esploratore di blindo leggera) in cambio di qualsiasi altro impiego pur di poter svolgere il suo ruolo di caregiver.

Il Tar di Triste ha accolto il ricorso del militare, condannando la P.A. anche alla spese di lite. Secondo i giudici amministrativi, l’elemento chiave che avrebbe dovuto portare l’amministrazione a concedere subito il trasferimento, sarebbe stata la disponibilità da parte del militare di svolgere qualsivoglia lavoro, pur di rimanere a fianco al familiare riconosciuto disabile al 100%.

– MALTRATTAMENTI FAMILIARI –

Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 13 settembre 2017, n. 21296.

La Cassazione conferma l’addebito della separazione al marito in quanto “mobber” familiare. La vicenda inerisce due coniugi nei confronti dei quali è intervenuta separazione personale con addebito al marito. L’uomo aveva posto in essere atti persecutori e reiterate vessazioni costringendo la moglie ad abbandonare la casa familiare.

– LEGGE DI STABILITA’ 2017 –

La legge di stabilità 2017 ha riconosciuto ai c.d. lavoratori precoci la possibilità di accedere alla pensione anticipata con un requisito contributivo ridotto. I destinatari del beneficio sono tutti coloro che hanno iniziato a lavorare prima del compimento dei 19 anni di età e che sono iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria o alle sue forme sostitutive ed esclusive. Verificati tali presupposti, potranno far domanda:

  • lavoratori dipendenti che si trovano in stato di disoccupazione a causa di licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale e che, da almeno tre mesi, non percepiscono più la prestazione per la disoccupazione;
  • lavoratori dipendenti o autonomi che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi della legge n. 104/1992 ;
  • lavoratori dipendenti ed autonomi che hanno una riduzione della capacità lavorativa pari almeno al 74%;
  • lavoratori dipendenti che sono addetti a lavori usuranti;
  • lavoratori che svolgono da almeno sei anni in via continuativa attività particolarmente gravose, ovverosia attività di operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; di conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; di conciatori di pelli e di pellicce; di conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; di conduttori di mezzi pesanti e camion; di personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; di addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza; di insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido; di facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati; di personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; di operatori ecologici ed altri raccoglitori e separatori di rifiuti.

– CONSUMATORI –

AGCOM, Regolamento recante disposizioni a tutela degli utenti in materia di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche.

L’AGCOM ha recentemente approvato un regolamento recante disposizioni a tutela degli utenti in materia di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche.

Nonostante quanto disposto a tutela dei consumatori/utenti dal Codice del Consumo, si è infatti reso necessario l’intervento dell’Autorità Amministrativa indipendente per cercare di porre fine agli abusi, soprattutto in tema di modifiche unilaterali dei contratti.

Se da un lato l’art. 33, co. 2, del Codice del Consumo, lett. m, già prevede che: “Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso“.

L’art. 70 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, come modificato dall’articolo 49, comma 1, lettera d), del D. Lgs. 28 maggio 2012 n. 70, ha però aperto le porte alle modifiche unilaterali delle condizioni del contratto tra compagnie telefoniche e consumatori, finendo per ledere inesorabilmente i diritti di questi ultimi che si trovano evidentemente in una posizione di soggezione rispetto alle compagnie telefoniche. La norma, in particolare, al comma 4 prevede quanto segue: “Il contraente, qualora non accetti le modifiche delle condizioni contrattuali da parte delle imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, ha diritto di recedere dal contratto senza penali né costi di disattivazione. Le modifiche sono comunicate al contraente con adeguato preavviso, non inferiore a trenta giorni, e contengono le informazioni complete circa l’esercizio del diritto di recesso. L’Autorità può specificare la forma di tali comunicazioni“.

Per porre fine agli abusi, l’AGCOM ha chiarito ex art. 6 Regolamento che: “Gli operatori modificano le condizioni contrattuali solo nelle ipotesi e nei limiti previsti dalla legge o dal contratto medesimo, ovvero quando tali modifiche siano esclusivamente a vantaggio dell’utente“.

Condividi questo articolo