– CONTROLLI DIFENSIVI –
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 ottobre 2016, n. 45198.
La Cassazione si pronuncia sul reato di pericolo previsto dal combinato disposto degli artt. 4 e 38 St. Lav. e 114 e 171 d.lgs. 196/2003.
In particolare la Corte ricorda che la disposizione di cui all’art. 4 L. 300/1970, tuttora vigente, anche se non trova più la sua sanzione nell’art. 38, comma 1, della medesima legge (a seguito della soppressione del riferimento all’art. 4 nel suddetto art. 38, comma 1, da parte dell’art. 179 d.lgs. 196 del 2003 ) prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale o permesso dall’Ispettorato del lavoro. I giudici di legittimità così stabiliscono: «si tratta di un reato di pericolo, essendo diretto a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori, con la conseguenza che per la sua integrazione è sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l’attività dei lavoratori». A nulla invece rileva la messa in funzione dell’apparecchiatura, in quanto per la punibilità è «sufficiente l’idoneità al controllo a distanza dei lavoratori e la sola installazione dell’impianto».
– BONUS MAMMA –
Circolare INPS 16 marzo 2017, n. 61.
Il Bonus è di 800 euro ed è previsto dalla legge di bilancio (art. 1 comma 353) a favore delle mamme che hanno un figlio nato o adottato nel 2017. Con la circolare n. 61 del 15 marzo 2017, l’INPS stabilisce che il premio alla nascita è erogato in un’unica soluzione e che, per ottenerlo, bisogna avere la residenza in Italia, la cittadinanza italiana o comunitaria ovvero essere in possesso di un permesso di soggiorno.
Sul punto, interviene l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che, insieme a APN e Fondazione Guido Piccini per i diritti dell’Uomo ONLUS, ha ricorso, dinanzi al Tribunale di Milano, contro l’Istituto per ottenere una pronuncia sulla discriminatorietà del provvedimento. Secondo i ricorrenti, il primo profilo discriminatorio starebbe nel fatto che «l’INPS non può impedire l’accesso alla prestazione ad alcune categorie di stranieri a cui la legge destinava il diritto al contributo, escludendo dalla platea dei destinatari le donne titolari di permesso unico lavoro, di permesso per motivi umanitari e le titolari di carta blu che rappresentano almeno il 45% delle donne straniere». Il secondo profilo di discriminazione, poi, risiederebbe nel fatto che se anche fosse supportata da una legge, la circolare INPS sarebbe illegittima, in quanto in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria che prevede la parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni sociali per i titolari di permesso unico lavoro (art. 12 direttiva 2011/98), i titolari di carta blu (art. 14 direttiva 2009/50) e i titolari di permesso umanitario (art. 34 comma 5 d.lgs 251/2007).
– PERMESSI 104 E FERIE –
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 7 giugno 2017 n. 14187.
La Corte di Cassazione chiarisce con l’ordinanza 14187/2017 che il lavoratore che gode dei permessi L. 104/1992 per l’assistenza del familiare disabile non può essere penalizzato nel computo delle ferie. Nel caso di specie, infatti, i giudici di legittimità hanno condanno il datore di lavoro a riaccreditare i 4 giorni di ferie indebitamente sottratti al dipendente. In particolare, la Cassazione ricorda che il diritto alle ferie assicurato dall’art. 36, ultimo comma, Costituzione «garantisce il ristoro delle energie a fronte della prestazione lavorativa svolta, e che tale ristoro si rende nei fatti necessario anche a fronte dell’assistenza ad un invalido, che comporta un aggravio in termini di dispendio di risorse fisiche e psichiche». I giudici, poi, fanno un ragionamento di sistema, sottolineando che la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18, «prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità (v. in particolare il punto x del preambolo e l’art. 19, punto b, art. 23, comma 3, art. 28, comma 1 e comma 2, lett. c)».
– LICENZIAMENTO DELLA PERSONA CON DISABILITA’ –
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 aprile 2017, n. 10576.
A fronte del peggioramento nelle condizioni di salute del lavoratore disabile assunto obbligatoriamente, il datore di lavoro non può licenziare il dipendente sulla base della sola dichiarazione di inidoneità alla mansione specifica emessa dal medico competente. I giudici di legittimità, infatti, sottolineano il seguente principio di diritto: «il datore di lavoro può risolvere il rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti, nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, solo nel caso in cui la speciale commissione integrata di cui all’art. 10, comma 3, I. 12 marzo 1999, n. 68, accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, non essendo all’uopo sufficiente il giudizio di non idoneità alla mansione specifica espresso dal medico competente nell’esercizio della sorveglianza sanitaria effettuata ai sensi del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81».
– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE –
Tribunale di Nocera Inferiore 18 novembre 2016, n. 1653[1].
Il giudice di primo grado ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato ad una lavoratrice per recidiva plurima almeno tre volte in un anno. Il Tribunale, nell’esaminare la legittimità di tale licenziamento, ha preso in considerazione anche quei comportamenti oggetto di sanzioni disciplinari conservative; sanzioni che sono state sospese in forza dell’impugnazione da parte della lavoratrice dinanzi al collegio e per i quali il datore di lavoro ha adito l’autorità giudiziaria ex art. 7, comma 6, L. 300/1970. Il Giudice di Nocera, sul punto, riprende quanto detto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 7719/2016: la sospensione agisce su misure disciplinari già efficaci e consiste in una ineseguibilità temporanea della singola sanzione e non invece un impedimento alla sua considerazione quale componente della recidiva che ha portato al licenziamento.
– BUONE PRATICHE –
Generali Italia ha lanciato il progetto “my energy journey” per migliorare il benessere in azienda e promuovere uno stile di vita sano e sostenibile. In particolare, il programma prevede il coinvolgimento di 1.500 dipendenti nel 2017 (per poi estenderlo a tutti successivamente) che si sottoporranno ad un ciclo di visite specialistiche – quali quella dermatologica, fisiatrica, nutrizionale, ecc. –, ad un programma sportivo – che comprenderà incontri di meditazione, pilates, running, mindfulness, yoga, palestra – e ad una serie di seminari online sulla promozione di uno stile di vista più sano.
Secondo Giovanni Luca Perin, direttore delle risorse umane di Generali Italia, infatti, «Salute e benessere dei dipendenti sono uno dei pilastri fondamentali per migliorare lo stile di vita di tutte le persone in azienda».