– DISCRIMINAZIONE DEL LAVORATORE DISABILE –
Corte di Giustizia dell’Unione europea, causa C-270/2016, sentenza 18 gennaio 2018
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che il licenziamento di un disabile per assenze intermittenti connesse alla patologia, riconosciuta come invalidante, può costituire una discriminazione basata sull’handicap, ai sensi e ai fini della Direttiva 2000/78/CE.
La Corte, chiamata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione della norma – di diritto spagnolo – che prevede la possibilità per il datore di lavoro di licenziare dipendete per superamento di una sorta di “comporto per sommatoria”, ha affermato che l’applicazione di tale disposizione, anche ai lavoratori che versano in una situazione di disabilità, può avere un effetto discriminatorio.
La Corte Europea, ribadendo la nozione di handicap utile ai sensi della Direttiva 2000/78 (per cui è handicap una limitazione di capacità risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barrire di diversa natura, possono ostacolare l’effettiva partecipazione alla vita professionale della persona) e ricordando che non vi può essere automatica sovrapposizione tra questa nozione e quella di malattia, ha comunque evidenziato che in linea di principio un lavoratore disabile presenta un rischio aumentato di incorrere in assenze per malattia connessa alla disabilità, con conseguente rischio aumentato di incorrere in un licenziamento.
La norma spagnola quindi, pur neutra, risulta idonea a produrre un effetto discriminatorio indiretto per i lavoratori disabili.
Segnaliamo che anche il Tribunale di Milano, con sentenza n.2875/2016 del 28 ottobre 2016, Giudice dott. Mariani, si era pronunciato nel medesimo senso.
– CONGEDO STRAORDINARIO EX ART. 42, COMMA 5, D.LGS. 151/2001 –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 5 dicembre 2017 n. 29062
In tema di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, D.lgs. 151/2001, l’assistenza al familiare disabile grave non è da intendersi esclusiva e tale da impedire al care giver spazi temporali per la cura delle sue esigenze personali e familiari, così come per la sua necessaria ripresa psico-fisica.
Ciò che conta, infatti, è che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali dell’intervento assistenziale, che comunque deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera di relazione del disabile.
– LICENZIAMENTO PER RIFIUTO AL TRASFERIMENTO –
Corte di Cassazione, sentenza 5 dicembre 2017 n. 29054
Secondo la Corte di Cassazione, quando il trasferimento disposto dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore è illecito perché non sorretto dalle ragioni organizzative richieste dalla norma di riferimento, il lavoratore può legittimamente rifiutarlo e il licenziamento eventualmente disposto è illegittimo.
Nel caso in esame, la Corte di Appello di Roma aveva riconosciuto l’illegittimità del recesso disposto nei confronti di un lavoratore che aveva rifiutato il trasferimento da Pomezia a Milano, offrendo al contempo la prestazione lavorativa presso la sede di assunzione originaria.
Secondo la Corte di Cassazione, adita dal datore di lavoro soccombente in secondo grado, l’ingiustificatezza del trasferimento legittima in capo al lavoratore un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti (tale essendo il trasferimento ingiustificato); la Corte di Cassazione ha ritenuto poi condivisibile quanto già rilevato dalla Corte territoriale in ordine alla proporzionalità del rifiuto al trasferimento, accompagnata dalla messa a disposizione della prestazione presso la normale sede di lavoro, in coerenza con i principi generali.
– MOBBING –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 19 gennaio 2018 n. 1381
Secondo la Corte di Cassazione si può parlare di mobbing allorquando gli episodi denunciati travalicano la normale conflittualità di ogni rapporto di lavoro; in caso contrario, il dipendente non ha diritto al risarcimento del danno.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza d’appello che aveva respinto la domanda di una lavoratrice perché quanto allegato dalla lavotratrice era ritenuto riconducibile situazioni di normale conflitto lavorativo. Nel corso del giudizio, infatti, non erano emerse condotte denigratorie, né demansionanti o marginalizzanti, mentre era stato accertato che il responsabile delle condotte stesse era l’ex compagno della lavoratrice, e che il legame tra i due si era rotto in tempi recenti.
– DANNI DA DEMANSIONAMENTO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 10 gennaio 2018 n. 330
In tema di danni da demansionamento, la Corte di Cassazione ha nuovamente affermato che il pregiudizio in capo al lavoratore può riguardare l’aspetto patrimoniale, relativo al nocumento della professionalità o la perdita di chances di ulteriori guadagni o opportunità occupazionali, e quello non patrimoniale, che sussiste laddove il demansionamento accertato abbia avuto ripercussioni anche sulla salute e sulla personalità del lavoratore.
In particolare, quest’ultimo danno può essere desunto anche da elementi indiziari come la qualità e la quantità del bagaglio lavorativo pregresso, il tipo di professionalità colpita, la durata e l’intensità del demansionamento, l’esito ultimo e le altre circostanze del caso concreto.
– DEMANSIONAMENTO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 16 gennaio 2018 n. 836
Sempre in tema di demansionamento la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento che considera sproporzionato, e come tale ingiustificato, il rifiuto della prestazione lavorativa da parte di un lavoratore che ritiene di essere stato illegittimamente demansionato.
La Corte ha ricordato come il lavoratore non sospendere ogni attività lavorativa, ove il datore di lavoro assolva a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo invocare l’art. 1460 cod. civ. e quindi l’eccezione di inadempimento soltanto in presenza di un totale inadempimento del datore di lavoro o a fronte di una richiesta di mansioni che espongano il lavoratore stesso a responsabilità penali ovvero a rischi per la sua salute.
L’adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può, difatti, consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza il lavoratore a rifiutare la prestazione senza un accertamento del giudice, che può anche essere chiesto – e reso – in via cautelare.
– RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 19 gennaio 2018 n. 1375
Come confermato dalla Corte di Cassazione, le modifiche consensuali di riduzione dell’orario di lavoro a part-time devono avvenire per iscritto, mentre nel caso del tempo pieno possono avvenire anche per fatti concludenti: il principio è stato ribadito partendo dal ricorso di una lavoratrice che chiedeva il pagamento delle ore non lavorate per iniziativa della datrice di lavoro – cui non aveva potuto non sottostare – nel corso del rapporto, e che aveva alternato periodi di tempo pieno a periodi di tempo parziale.