Di Giuseppe Pennino *
I recenti dati ISTAT sul mercato del lavoro hanno evidenziato a novembre 2019 una crescita degli occupati che aumentano di 41mila unità.
Inoltre cresce il dato occupazionale delle donne, con un +35mila rispetto ad ottobre 2019. Il dato congiunturale è senz’altro incoraggiante, ma molta strada rimane da fare sia per favorire l’accesso delle donne al mondo del lavoro che per superare il cosiddetto gap retributivo di genere e per rafforzare misure di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.
Numerosi studi indicano, infatti, un maggior benessere e un miglior funzionamento del sistema economico e del mercato del lavoro quando il coinvolgimento attivo delle donne cresce. La crescita del tasso di occupazione femminile, stando a questi studi, può rappresentare uno stimolo fortissimo alla crescita del PIL.
Anche se negli ultimi dieci anni la situazione è migliorata, in Italia, stando ai dati ISTAT, a livello occupazionale resta ancora un divario considerevole fra uomini e donne: ciò si traduce in un tasso di occupazione molto più basso per le femmine rispetto ai maschi: 49,5% contro il 67,6% degli uomini.
Ma le donne non scontano solo difficoltà in accesso al mercato del lavoro. Le convenzioni sociali e gli stereotipi sul ruolo della donna, per esempio nelle cure familiari o nella c.d. “economia domestica”, hanno conseguenze significative anche una volta che questa prima barriera sia stata scavalcata; benché la nostra Costituzione e i contratti di lavoro, formalmente, garantiscano alla donna lavoratrice, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, questa situazione è, nei fatti, disattesa: i dati registrano tra le donne lavoratrici una forte incidenza del part-time (soprattutto involontario) con conseguente minore retribuzione anche ai fini pensionistici; accade inoltre che le donne vengano assunte con livelli inferiori rispetto agli uomini, anche a parità di titoli ed esperienza e siano comunque meno retribuite, in media, dei colleghi uomini. La produttività e lo sviluppo di carriera vengono ancora troppo spesso valutati in base all’iper presenza sul luogo di lavoro, cosa che penalizza le donne che sono le più coinvolte nella cura anche della famiglia.
Il tema è ora all’attenzione della Camera dei deputati: sono state assegnate alla Commissione Lavoro le proposte di legge a prima firma di Tiziana Ciprini recante “Disposizioni per il superamento del divario retributivo tra donne e uomini e per favorire l’accesso delle donne al lavoro” e le abbinate proposte di legge a firma di Chiara Gribaudo, di Silvia Benedetti e del CNEL recante “Modifica all’articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, in materia di rapporto sulla situazione del personale”.
Le proposte prevedono misure per superare le forme di organizzazione del lavoro di fatto pregiudizievoli per l’avanzamento professionale delle donne lavoratrici, per promuovere una migliore articolazione tra attività lavorativa e tempi di vita e per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro della donna dopo la maternità.
Alcuni punti qualificanti delle proposte prevedono:
– L’introduzione nel Codice delle Pari Opportunità, tra le discriminazioni indirette, anche gli atti di natura organizzativa e oraria che possono mettere in condizione di svantaggio la lavoratrice o ne limitino, nei fatti, lo sviluppo di carriera (per delle esemplificazioni-tipo v. qui).
– L’introduzione, anche per le imprese sotto i cento dipendenti, della possibilità di redigere il rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile e l’adozione di un piano di azioni per la parità salariale tra uomini e donne e di comunicare ai lavoratori, alle rappresentanze sindacali e agli organismi di parità competenti, una serie di informazioni volte a mostrare le differenze di salari tra uomini e donne, con la possibilità di ottenere una «certificazione di pari opportunità di lavoro»; la misura, mutuata dall’esperienza di alcuni Paesi del nord Europa, trova fondamento anche in uno studio condotto dall’Harvard Business Review, il primo studio empirico sull’impatto della trasparenza salariale obbligatoria, dal quale è emerso che già la trasparente comunicazione delle disparità retributive di genere riduce di fatto il divario stesso e spinge le aziende a rimuovere “volontariamente” le disparità rilevate.
– Sgravi contributivi per le imprese che favoriscono il rientro in azienda delle madri lavoratrici dopo la nascita del figlio. La misura è volta a contrastare il fenomeno ricorrente dell’abbandono lavorativo dopo la nascita del figlio o delle cosiddette dimissioni in bianco.
– Sotto il profilo della migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro, l’introduzione delle “ferie solidali” finalizzate a migliorare la gestione dell’orario di lavoro e la compatibilità tra gli impegni di lavoro e le esigenze di cura di familiari con patologie gravi.
– Il rafforzamento del cosiddetto welfare aziendale con l’introduzione di agevolazioni per la creazione di asili nido aziendali; il potenziamento del Piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per realizzare asili nido pubblici o altre forme di asili nido organizzati in forma singola o associata dalle famiglie nonchè alcune misure in tema di congedi e abbattimento Iva per l’acquisto di prodotti neonatali e per l’infanzia.
In tal senso la recente legge di bilancio per il 2020 ha già previsto un aiuto per l’acquisito di latte artificiale, il rafforzamento del congedo paterno finalizzato ad una maggiore condivisione della cura dei figli e l’istituzione del “Fondo assegno universale e servizi alla famiglia”. Le risorse del Fondo sono indirizzate all’attuazione di interventi in materia di sostegno e valorizzazione della famiglia nonché al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alle famiglie con figli.
Le iniziative legislative all’esame della Commissione segnano l’avvio di un percorso che con misure di tipo premiale ha l’obiettivo non solo di rafforzare la protezione della donna lavoratrice nello svolgimento del rapporto di lavoro, rimuovendo quegli ostacoli che ne limitano la carriera con conseguenti effetti sui livelli retributivi, ma anche di creare quella rete tra welfare familiare, aziendale e politiche pubbliche di sostegno alla famiglia e alla donna lavoratrice che fino ad ora è stata attuata a “macchia di leopardo”; e ciò per consentire alla madre lavoratrice di realizzarsi pienamente nel lavoro e al padre di recuperare la ricchezza di relazioni derivante dal suo apporto alla gestione della famiglia.
* Avvocato cassazionista e docente in discipline giuridico-economiche in Istituti Superiori, istruttore di Diritto Internazionale Umanitario, nel 2019 “Esperto” presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell’attività di esame e studio per la definizione di iniziative legislative e regolamentari. L’esercizio della professione forense e la passione per l’insegnamento delle discipline giuridiche e la diffusione della cultura dei diritti civili mi ha permesso di coniugare competenze tecniche, impegno sociale e forte sensibilità civica. Esercito la professione prevalentemente tra Perugia e Roma.
Questo articolo è stato pubblicato sul Fatto Quotidiano on line; qui il link.