Oggi parliamo dei c.d. controlli difensivi, disciplinati dall’art. 4 St. Lav., che li legittima solo a determinate condizioni. Quali sono le condizioni che permettono al datore di lavoro di installare apparecchiature di vigilanza sul luogo di lavoro? Come viene tutelata la dignità e la riservatezza dei lavoratori? Vediamo la disciplina anche alla luce di due recentissime sentenze della Corte di Cassazione.
L’art. 4 St. Lav. riguarda la tematica dei c.d. controlli difensivi, vale a dire quei controlli che, inserendosi nel più generale potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, hanno il fine di accertare il compimento di eventuali condotte illecite da parte del lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni. Il presupposto è che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell’organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione umana e non esasperata dall’uso di tecnologie che potrebbero eliminare ogni zona di riservatezza e autonomia del lavoratore.
L’art. 4 ritenere legittime le istallazioni di apparecchiature di controllo, soddisfatte determinate esigenze aziendali, solo a seguito di un accordo sindacale ovvero di una esplicita richiesta all’ispettorato del lavoro.
Sul punto, due recentissime sentenze della Corte di Cassazione – nonostante siano giunte a conclusioni contrapposte nella risoluzione delle fattispecie concrete – hanno avuto modo di sottolineare alcuni principi fondamentali.
Il primo caso, deciso dalla Corte sez. Lavoro (n. 10636/2017), concerne il licenziamento di un lavoratore, impiegato presso un punto vendita di una società cooperativa, che ha prelevato e utilizzato per uso personale dei prodotti del reparto dolciumi del magazzino. La persona è stata ripreso da una telecamera, installata nei locali ove si sono verificati i furti contestati, che riprendeva gli scaffali dei dolciumi, i quali erano movimentati per l’assortimento dagli addetti di agenzie esterne e non dai dipendenti della cooperativa.
I giudici hanno ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore dal momento che, nel caso di specie, le apparecchiature di vigilanza non erano atte al controllo a distanza dell’attività lavorativa, non risultando di conseguenza in nessun modo compressa la dignità e la riservatezza dei prestatori d’opera, bensì all’esclusiva tutela del patrimonio aziendale. Lo stesso collegio, infatti, ricorda che l’interpretazione dell’art. 4 L. 300/1970 «va ispirata ad un equo e ragionevole bilanciamento fra le disposizioni costituzionali che garantiscono il diritto alla dignità del lavoratore nell’esercizio delle sue prestazioni, oltre al diritto del cittadino al rispetto della propria persona (artt. 1, 3, 35 e 38 Cost.), ed il libero esercizio dell’attività imprenditoriale (art. 41 Cost.), con l’ulteriore considerazione che non risponderebbe ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore – in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con la sanzione espulsiva – una tutela alla sua “persona” maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all’impresa».
La seconda pronuncia è della sez. Penale della Cassazione (n. 22148/2017) e inerisce il caso di un datore di lavoro che, solo in forza di un asserito consenso dei propri lavoratori, ha installato delle telecamere sul luogo di lavoro. L’imprenditore è stato sanzionato penalmente ed il collegio ha ribadito la «necessità che l’istallazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) sia proceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra parte datoriale e rappresentanze sindacali dei lavori, con la conseguenza che se l’accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’istallazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentazioni sindacali dei lavoratori, cosicché, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’istallazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata». La Corte poi continua dicendo che il collegio «ritiene che il consenso in qualsiasi forma (scritto od orale) prestato dai lavoratori non valga a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti […]».
Infine, per completezza, è opportuno menzionare un intervento del Garante della Privacy che, nella newsletter n. 427 del 21 aprile 2017, ha ricordato che gli strumenti di geolocalizzazione GPS istallati nelle flotte aziendali sono legittimi, previo accordo sindacale, se vengono «attentamente definite le modalità di raccolta, di elaborazione e di conservazione dei dati di geolocalizzazione e degli altri dati personali, differenziando le tutele in base alla singola finalità perseguita».