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L’assistenza Giuridica del Centro Mobbing CGIL – Milano

17.03.2021 | Pubblicazioni

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Bucarest, Romania, 15 giugno 2011
Relazione di Annalisa Rosiello

Chi siamo?

La Camera del lavoro di Milano, attraverso il Centro Mobbing ed anche il Centro Donna presenti al proprio interno, offre consulenza e assistenza legale alle vittime di mobbing e delle altre disfunzioni e derive lavorative da molti anni.
La CDLM si avvale di professionalità specializzate e sensibili ai temi trattati: funzionari esperti nella lettura dei casi, uno studio giuslavorista specializzato in mobbing, discriminazioni e derive lavorative; uno studio penalista specializzato nell’assistenza alle vittime di reato (le denunce penali vengono presentate molto frequentemente nei casi di mobbing, molestie sessuali e stalking occupazionale).
La CDLM si avvale anche della competenza di una psicologa ed è in rete con strutture specializzate nelle diagnosi, nella cura e nella determinazione dei danni legati alle patologie derivate dal mobbing e dalle altre conflittualità lavorative.

Cosa trattiamo?

Le materie trattate sono, oltre al mobbing: lo straining, lo stress correlato al lavoro, il burn out nonché ogni forma di discriminazione, molestia di genere e sessuale, stalking occupazionale.
Va precisato che, benché spesso venga utilizzato il termine “mobbing” quale espressione per definire ogni situazione di malessere e disagio sul luogo di lavoro, nell’ambito clinico ed anche – più recentemente – nel panorama giuridico italiano (prevalentemente giurisprudenziale ma anche normativo) si vanno sempre con maggiore precisione delineando figure più corrette e maggiormente specifiche a descrizione delle varie situazioni di conflittualità lavorativa.
E fin da subito ci siamo resi conto dell’importanza, prima di tutto per le professionalità in ambito legale ma anche per quelle in ambito clinico, di inquadrare in maniera puntuale il caso e declinarlo – all’interno dei rispettivi contributi (lettera di intervento sindacale/legale e atto introduttivo del giudizio – relazione medica) – in maniera giuridicamente corretta, richiamando la nomativa più appropriata.
Questo non solo per ragioni di precisione giuridico-scientifica (crea confusione e può comportare il rigetto dell’azione chiamare mobbing ciò che non lo è) ma anche per importanti considerazioni di carattere pratico; infatti per le differenti fattispecie sono approntabili più idonei strumenti di prevenzione a seconda dei rischi specifici ed inoltre, sul piano processuale, ci si può collocare nel regime di allegazione e di prova adeguato, che a seconda dei casi può essere in tutto o in parte differente. Tanto più che, come si vedrà, i danni rivendicabili sono della stessa natura.

Come operiamo?

Al momento della presa in carico del cliente viene preliminarmente richiesta un’accurata relazione sui fatti con relativi documenti lavorativi; dal punto di vista documentale, è importante acquisire eventuali lettere di contestazione, mail dal contenuto offensivo, ordini di servizio non attinenti al ruolo e ogni documento che possa essere utile per ricostruire la fattispecie, tenendo conto peraltro del fatto che le prove più importanti, nei caso di mobbing, sono normalmente quelle testimoniali.
Inoltre, poiché la vittima di mobbing può incorrere in serie difficoltà a livello esistenziale e clinico, occorre che la stessa affronti un percorso medico tramite strutture specializzate nelle patologie legate allo stress e al mobbing e/o tramite figure professionali quali lo psicologo, lo psicoterapeuta e lo psichiatra.
Sempre con riguardo alla parte clinica, è di estrema importanza anche la diagnosi del medico curante – in caso di assenze per malattia – per attestare la data di inizio dei disturbi e la loro motivazione (e dunque, ad es.: depressione reattiva a problematiche in ambito lavorativo, prognosi dal __ al ___); molto importanti sono i certificati dei clinici specializzati (psicologo, psichiatra, CPS, Clinica del lavoro, ecc.) e la perizia medico-legale sul danno non patrimoniale, nelle componenti di danno biologico ed esistenziale.
Acquisita tutta questa documentazione, esprimiamo al lavoratore un parere preventivo sulla fattibilità del caso e sul suo corretto inquadramento; successivamente procediamo all’elaborazione della lettera di intervento e dell’atto introduttivo del giudizio.

Quando interveniamo?

E’ importante, relativamente ai tempi, affrontare il percorso clinico contestualmente (o antecedentemente) a quello legale e la costante comunicazione tra i due ambiti, quello legale e quello clinico, per la scelta della strategia più opportuna e per la migliore assistenza al cliente/paziente.
Per la causa, naturalmente, è consigliabile attivarsi tempestivamente, sia per prevenire l’aggravarsi dei danni, sia per ragioni pratiche-processuali: in cause in cui le testimonianze sono di fondamentale importanza, il trascorrere del tempo rischia di far perdere memoria storica ai testimoni e rischia dunque di compromettere la buona riuscita della causa.

Cosa dobbiamo dimostrare?
Mobbing
Il mobbing viene comunemente definito come il terrore psicologico sul luogo di lavoro, consistente in comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui relegato da reiterate attività ostili. Queste azioni, che danno spesso luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali per la vittima, rientrano nella definizione di mobbing, qualora siano caratterizzate da un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e da una durata significativa (almeno sei mesi).
L’onere di allegazione e di prova dei fatti nonché dei danni incombe sul lavoratore; all’azienda spetta allegare e provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il mobbing (arg. ex art. 2087 c.c.).
Il mobbing può anche essere ricondotto a fattispecie penalmente rilevanti, quali, prevalentemente delitto di maltrattamenti, ingiurie, diffamazione.
Straining
Lo straining viene definito come una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. Affinché si possa parlare di straining è dunque sufficiente una singola azione stressante cui seguano effetti negativi duraturi nel tempo (come nel caso di gravissimo demansionamento o di svuotamento di mansioni). La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer).
Al lavoratore spetta allegare e dimostrare la qualifica di assunzione e gli incarichi ricoperti; spetta altresì allegare la situazione di demansionamento o svuotamento di mansioni successiva mentre spetta all’azienda allegare e dimostrare l’esatto adempimento dell’obbligazione di assegnare lavoro al dipendente (arg. ex art. 2103 c.c.).
Stress lavoro-correlato
Lo stress lavoro-correlato è un evento psicosomatico che viene scatenato da sollecitazioni esterne ed interne (stressors) presenti all’interno del luogo di lavoro; lo stress non è sempre negativo: è dimostrato come esso possa costituire una utilissima possibilità sia per l’individuo sia per l’azienda, essendo un acceleratore delle capacità umane. I problemi tuttavia si verificano qualora lo stress sia troppo elevato o qualora la situazione stressante si prolunghi eccessivamente nel tempo, con possibili conseguenze sia a livello fisico che psichico. Lo stress può colpire un genere più di un altro; in questo caso si parla di stress di genere.
Al lavoratore spetta allegare e dimostrare i fattori stressanti, all’azienda di aver fatto tutto il possibile per evitare lo stress e i relativi danni (arg. ex art. 2087 c.c. e TU 81/2008).
Burn-out
Il Burn-out è frequentemente una derivazione dello stress occupazionale e significa letteralmente significa “bruciato internamente”; esso rappresenta una sindrome da esaurimento emotivo molto diffusa soprattutto nelle professioni che prevedono un continuo contatto con il pubblico e nelle cd. professioni d’aiuto le quali, a causa del ripetuto contatto con la sofferenza umana, rischiano risvolti frustranti. Tale sindrome, derivando da una situazione occupazionale vissuta come problematica, impatta molto negativamente sull’utenza e si caratterizza per un approccio tipicamente psicologico: si concentra, infatti, più sulla persona e meno sull’ambiente di lavoro, comportando innanzitutto un deterioramento dell’impegno profuso nel lavoro, un peggioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro ed un problema di adattamento tra sè ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di carico emotivo dallo stesso derivanti.
Sugli oneri di allegazione e prova v. voce “Stress”.
Discriminazioni
La discriminazione consiste in un trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria. Il genere, la razza, la religione, l’etnia, un handicap o l’orientamento sessuale possono costituire pretesto per impedire a taluno di godere, al pari degli altri, dei propri diritti.
La normativa interna, ricalcata su quella comunitaria, prevede una parziale inversione degli oneri della prova e il risarcimento del danno non patrimoniale (v. direttive CE e d.lgs. 215, 206 del 2003; 145/2005).
Molestie di genere e molestie sessuali
Le molestie di genere sono equiparate alla discriminazioni e consistono in quei comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Le molestie sessuali consistono in quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Le molestie sessuali sono normalmente inquadrabili anche nella fattispecie, penalmente rilevante, di violenza sessuale.
La normativa comunitaria (v. voce “Discriminazioni”) prevede una parziale inversione degli oneri della prova; il risarcimento del danno non patrimoniale.
Stalking occupazionale
Lo stalking occupazionale è una forma di stalking (termine che letteralmente significa “fare la posta” e che si concretizza in quegli “atti persecutori” posti in essere da un “molestatore assillante”) in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambiente di lavoro, dove lo stalker (o il persecutore) ha realizzato o desiderato una situazione di conflitto, persecuzione o mobbing. Lo stalking occupazionale può derivare da una situazione conflittuale sul posto di lavoro che praticamente non si è manifestata, ma è rimasta a livello di intenzione o desiderio ed in molti casi si associa o segue a episodi di molestie sessuali.
Essendo una condotta molesta a sfondo sessuale, è invocabile la normativa comunitaria che prevede una parziale inversione degli oneri della prova e il risarcimento del danno non patrimoniale (v. voce “Discriminazioni”). Lo stalking è anche punito penalmente, da una norma di recente introduzione nell’ordinamento italiano.

Quanto otteniamo?

Una volta che si riscontri un illecito del datore di lavoro o di suoi preposti, nelle diverse tipologie che abbiamo esaminato, i danni che i giudici liquidano sono suddivisi in due categorie, e sono gli stessi per tutte le fattispecie di illecito sopra riportate:
danni di tipo patrimoniale (da perdita del lavoro, da perdita di chances, bonus, promozioni, ecc.)
danni di tipo non patrimoniale (nelle diverse componenti di danno biologico, esistenziale e morale).
Dopo aver concluso la fase di accertamento sui fatti (che vanno puntualmente allegati nell’atto introduttivo del giudizio), spetta al lavoratore dimostrare i danni subiti (naturalmente sempre dopo averli descritti nell’atto introduttivo del giudizio) ed anche il nesso di causa-effetto tra l’illecito dell’azienda e i danni.
La giurisprudenza italiana ammette tuttavia il ricorso a presunzioni: la durata delle condotte illecite, l’età del soggetto, la gravità delle condotte sono tutti elementi presuntivi utilizzati per affermare l’esistenza del danno e determinarne l’ammontare secondo equità.
Nel caso di malattia (danno biologico) esistono specifiche Tabelle emanate dai vari Tribunali per la determinazione del danno (permanente e temporaneo), secondo le indicazioni e la percentuale di norma stabilite dal Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU); sempre più spesso anche la quantificazione del danno esistenziale, la cui determinazione era in precedenza appannaggio esclusivo della giurisprudenza, viene giustamente demandata a professionalità in ambito clinico (in sede di CTU).

Con quali strumenti normativi?

In Italia non abbiamo una legge specifica sul mobbing.
Per sostenere la responsabilità dell’azienda viene normalmente invocato l’art. 2087 c.c., che stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di salvaguardare la integrità fisica e la personalità morale del lavoratore e l’art. 2103 c.c. che prevede il divieto di demansionamento.
L’Italia ha inoltre recepito le direttive comunitarie sulla parità di trattamento.
Direttiva 2000/43/CE del Consiglio che attua il principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (recepita dall’Italia con D.lgs. 9 luglio 2003, n° 215)
Direttiva 2000/78/CE del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (recepita dall’Italia con D.lgs. 9 luglio 2003, n° 216)
Direttiva 2002/73/CE del Consiglio relativa al’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (recepita dall’Italia con D.lgs. 30 maggio 2005, n° 145, poi riversato nel Codice Pari Opportunità – D.lgs. 11 aprile 2006, n° 198).
Tali direttive, abbiamo visto, sono invocabili quando il mobbing o lo straining hanno connotazioni discriminatorie e nei casi di molestie sessuali nei luoghi del lavoro; in tali casi ci si colloca in un regime più agevolato di prova.
L’Italia ha inoltre recepito l’accordo quadro sullo stress correlato al lavoro dell’8 ottobre 2004 (v. accordo Interconfederale 9 giugno 2008 e T.U. 9 aprile 2008, n° 81, e successive integrazioni e modifiche in materia di tutela dellla salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Esistono inoltre, in aggiunta a quelle sopra richiamate, numerose fonti internazionali e comunitarie che responsabilizzano i datori di lavoro rispetto al tema della tutela della salute fisica e della personalità morale del lavoratore e curano il contrasto del mobbing e delle altre disfunzioni e conflittualità lavorative (v. allegati).

Conclusioni:

Importanza delle professionalità specializzate e raccordo tra le stesse (funzionari, avvocati e clinici)
Importanza di una corretta qualificazione della fattispecie
Richiamo della normativa internazionale e comunitaria – diritto antidiscriminatorio – ove la fattispecie lo consenta (per le agevolazioni sul piano probatorio).
Importanza della quantificazione dei danni non patrimoniali (biologico ed anche esistenziale) attraverso specialisti in ambito clinico.
Quali sono i possibili esiti? li esaminiamo nei casi in discussione (v. materiali).
Allegato: richiamo ad alcune tra le principali fonti internazionali e comunitarie
FONTI INTERNAZIONALI
Dichiarazione Organizzazione Mondiale della Sanità
New York, USA, 22 luglio 1946
L’obiettivo dell’OMS, come definito nella propria costituzione è il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute, intesa come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o infermità.
Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale.
La sanità dei popoli è una condizione fondamentale della pace del mondo e della sicurezza; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra i singoli e tra gli Stati.”
Dichiarazione Universale di Alma Ata sull’Assistenza Sanitaria Primaria
Alma Ata, URSS, 6-12 Settembre 1978
In tale occasione si è ribadito, tra l’altro, che:
La promozione e la tutela della salute (nell’accezione data dall’OMS) delle persone è indispensabile per lo sviluppo economico e sociale e contribuisce a una miglior qualità della vita ed alla pace mondiale.
Carta di Ottawa per la promozione della salute
1° Conferenza Internazionale sulla promozione della salute
Ottawa, Canada, 17-21 novembre 1986
In tale occasione tra l’altro, si è affermato che:
La salute (sempre nell’accezione data dall’OMS) è … vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche.
Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere.”
Si afferma altresì che la promozione della salute richiede un’azione coordinata da parte della pluralità dei soggetti coinvolti: i governi, il settore sanitario e gli altri settori sociali ed economici, le organizzazioni non governative e di volontariato, le autorità locali, l’industria e i mezzi di comunicazione di massa.
Dichiarazione di Jakarta sulla promozione della salute nel 21° Secolo
4° Conferenza Internazionale sulla Promozione della salute
Jakarta, Indonesia, 6 Luglio 1996,
In tale Dichiarazione, tra l’altro, si afferma tra le nuove priorità:
La promozione della responsabilità sociale per la salute (sempre nell’accezione indicata dall’OMS) anche attraverso il coinvolgimento del settore privato; l’azione di promozione della salute dovrà perseguire politiche e attività che evitino di danneggiare altri individui e l’ambiente; che introducano limiti alla produzione e commercio di sostanze pericolose per la salute e che salvaguardino i cittadini nei luoghi di lavoro.
20° conferenza Internazionale sulla Promozione della salute
Ginevra, Svizzera, 29 luglio 2010
Uno degli aspetti a cui è stata prestata maggiore attenzione è stata l’intersettorialità nella promozione della salute. Le professionalità coinvolte sono state infatti molte: oltre ai medici erano presenti sociologi, antropologi, psicologi e persino architetti.
Si tratta di una riflessione comune molto importante, soprattutto dal momento che spesso sono proprio le politiche che non hanno direttamente a che fare con la sanità a influire di più sulla salute dei cittadini.
Richiede forti alleanze e collaborazioni che vadano oltre il settore sanitario, prassi e politiche basate sull’etica e sulla conoscenza in una prospettiva intergenerazionale. E questo deve essere fatto dalle comunità locali, nei contesti di vita e lavoro, nelle relazioni sociali tra i cittadini e le istituzioni coinvolgendo e responsabilizzando chi decide e chi fa opinione.

FONTI COMUNITARIE
Oltre alle direttive comunitarie richiamate nella relazione e relative all’attuazione del principio di parità di trattamento, si menzionano tra le principali:
Risoluzione del Parlamento Europeo sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339)
Tale risoluzione individua alcune cause legate all’aumento dello stress occupazionale, evidenziando – fra l’altro – i seguenti punti
il punto b) che fa riferimento alla precarietà dell’impiego, – il punto f) che stigmatizza le carenze a livello di organizzazione lavorativa, di informazione interna e di management con conseguenti e pesanti ricadute negative sui lavoratori, laddove tali problemi organizzativi permanessero a lungo irrisolti. Al punto 12, la stessa risoluzione raccomanda agli stati membri iniziative di informazione e formazione dei lavoratori dipendenti, con la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia, in grado di rappresentare un eventuale riferimento per i lavoratori stessi. Al punto 15, viene enfatizzata l’importanza di studiare il mobbing in relazione sia agli aspetti attinenti all’organizzazione del lavoro, sia a fattori quali genere, età, tipo di professione, etc. Inoltre, il punto 17 esorta a prevenire e combattere il mobbing, prevedendo un eventuale adeguamento dello statuto dei funzionari, attraverso un’adeguata politica di sanzioni.
Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee
Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006”
Bruxelles, 11-03-2002
La strategia proposta, che copre il periodo 2002-2006, in sintesi:
– sposa un’impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro, prendendo in considerazione le trasformazioni del mondo del lavoro (femminilizzazione, invecchiamento, diversificazione delle forme occupazionali), pressato peraltro dall’insorgenza di nuovi rischi, in particolare psicosociali (stress, depressione, molestie, intimidazioni, violenze); mira così a migliorare la qualità del lavoro, della quale un ambiente di lavoro sano e sicuro è uno dei componenti fondamentali;
– si basa sul consolidamento di una cultura di prevenzione dei rischi e sulla necessità di promuovere attivamente “un autentico benessere sul luogo di lavoro, che sia fisico, morale e sociale e che non può essere misurato solo dall’assenza di infortuni o di malattie professionali”
– essa dimostra inoltre che una politica sociale ambiziosa è un fattore di competitività e che, per contro, la mancanza di strategia comporta costi che pesano in modo significativo sulle economie e sulle società.
Per raggiungere questi obiettivi si evidenziano, tra le altre, le seguenti misure:
• prevenzione dei rischi sociali (stress, molestie nei luoghi di lavoro, depressione, ansia e dipendenze);
• prevenzione rafforzata delle malattie professionali, in particolare delle malattie dovute all’amianto, alla perdita dell’udito e ai disturbi del sistema muscolo-scheletrico;
• maggiore considerazione degli effetti che le evoluzioni demografiche hanno per i rischi, gli infortuni e le malattie professionali (lavoratori anziani e protezione dei giovani nei luoghi di lavoro);
• integrazione della dimensione di genere nella valutazione dei rischi, nelle misure di prevenzione, nonché nei dispositivi di riparazione;
• maggiore considerazione dei cambiamenti nelle forme di occupazione e nelle modalità di organizzazione del lavoro (forme temporanee ed atipiche);
Alla luce di quanto sopra, il documento comunitario chiarisce che un’autentica cultura della prevenzione passa per la conoscenza dei rischi, conoscenza che si realizza tramite:
• l’istruzione e la formazione (sensibilizzazione ad opera dei programmi scolastici, insegnamento nelle filiere professionali e nel quadro della formazione professionale permanente);
• la sensibilizzazione dei datori di lavoro al valore che riveste la realizzazione di un ambiente di lavoro controllato;
• l’anticipazione dei rischi nuovi ed emergenti, che siano legati alle innovazioni tecniche o alle evoluzioni sociali (creazione di un osservatorio dei rischi in seno all’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro).
L’intervento comunitario si concretizza col porre in evidenza la necessità di un costante adeguamento del quadro giuridico (direttive e disposizioni legislative comunitarie) alle evoluzioni scientifiche e del progresso tecnico, oltre che rinnovata attenzione ad una nuova legislazione relativa ai rischi emergenti.
Accordo Europeo sullo stress lavoro-correlato 8 ottobre 2004
Detto accordo ha la finalità di accrescere la sensibilità dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti sui problemi legati allo stress, di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un quadro di riferimento per individuare, prevenire ed affrontare i problemi di stress lavoro-correlato con azioni positive.
Lo stress è definito nell’accordo europeo come una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono adatti a corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro. L’individuo, si legge nell’accordo, è assolutamente in grado di sostenere una esposizione di breve durata alla tensione, che può essere considerata positiva, ma ha maggiori difficoltà a sostenere una esposizione prolungata ad una pressione intensa. Inoltre, individui diversi possono reagire differentemente a situazioni simili e lo stesso individuo può reagire diversamente di fronte a situazioni simili in momenti diversi della propria vita.
Lo stress, viene precisato nell’accordo, non è una malattia ma una situazione di prolungata tensione, che può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione, etc. e che può portare a ridurre l’efficienza sul lavoro e a determinare un cattivo stato di salute.
Data la complessità del fenomeno stress, l’accordo non ha inteso fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress ma ha precisato che, comunque, un alto tasso di assenteismo, una elevato turn over del personale, frequenti conflitti interpersonali o lamentele da parte dei lavoratori sono alcuni dei segnali che possono denotare un problema di stress lavoro-correlato.
Sempre l’accordo precisa che, l’individuare un eventuale problema di stress lavoro-correlato può implicare l’analisi su fattori oggettivi quali l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro (disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro, ecc.), condizioni di lavoro e ambientali (esposizione a comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze pericolose, ecc.), comunicazione (incertezza in ordine alle prestazioni richieste, alle prospettive di impiego o ai possibili cambiamenti, ecc.) e fattori soggettivi (tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di mancanza di attenzione nei propri confronti, ecc.).
Benché l’accordo non riguardi le molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, si dà atto nell’accordo che tali condotte costituiscono potenziali fattori di stress.
Qualora, anche attraverso le predette indagini, si individui un problema di stress lavoro-correlato, si legge ancora nell’accordo europeo sullo stress, occorre adottare misure per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo.
Il compito di stabilire le misure appropriate spetta al datore di lavoro e queste misure dovranno essere adottate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. Stante la peculiarità della materia, peraltro, si è già più volte accennato che ai fini della valutazione, dell’eliminazione o della riduzione dei di problemi di stress lavoro-correlato è molto opportuno, per il datore di lavoro, avvalersi di competenze specialistiche ed in particolare di medici del lavoro specializzati in patologie da stress e/o di psicologi del lavoro.
L’accordo succitato stabilisce inoltre che la prevenzione, l’eliminazione o la riduzione dei problemi di stress lavoro-correlato può comportare l’adozione di varie misure.
Tali misure potrebbero includere, per esempio, secondo l’accordo:
– misure di gestione e comunicazione, chiarendo, ad esempio, gli obiettivi aziendali ed il ruolo di ciascun lavoratore ovvero assicurando un adeguato sostegno da parte della dirigenza ai singoli lavoratori ed ai gruppi o conciliando responsabilità e potere di controllo sul lavoro o, infine, migliorando la gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro, le condizioni lavorative e l’ambiente di lavoro,
– la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per accrescere la loro consapevolezza e conoscenza dello stress, delle sue possibili cause e di come affrontarlo e/o adattarsi al cambiamento,
– l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, secondo la legislazione europea e nazionale, gli accordi collettivi e la prassi.
Comunicazione della Commissione delle Comunità europee
Migliorare la salute mentale della popolazione (Libro Verde)
Bruxelles, 14 ottobre 2005
Con il documento si afferma, tra l’altro, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede che entro il 2020 la depressione diventerà la causa principale di inabilità al lavoro; il luogo di lavoro
costituisce l’ambiente privilegiato per la prevenzione dei disturbi psicologici e la promozione di una migliore salute mentale.
Si afferma altresì che mentre la salute mentale incentiva le capacità lavorativa e la produttività, cattive condizioni di lavoro, comprese le intimidazioni da parte di colleghi, comportano problemi psichici, assenze per malattia e maggiori costi; fino al 28% dei lavoratori dipendenti europei segnala situazioni di stress sul lavoro. Si riconosce come gli interventi volti a promuovere la capacità individuale ed a ridurre i fattori di stress nell’ambiente di lavoro migliorano la salute e favoriscono lo sviluppo economico.
Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee
Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro:
strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro
Bruxelles, 21 febbraio 2007
Tale documento, nel riprendere i concetti già affermati nella precedente strategia varata nel 2002, si propone di proseguire e intensificare gli sforzi per promuovere la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro e conferma che:
“Le imprese che investono nella protezione della salute dei loro dipendenti attraverso politiche attive di prevenzione ottengono risultati quantificabili: riduzione dei costi connessi all’assenteismo, diminuzione della rotazione del personale, maggiore soddisfazione dei clienti, incremento della motivazione, miglioramento della qualità e migliore immagine dell’impresa.
Questi effetti positivi possono essere ulteriormente rafforzanti spingendo i lavoratori, in un contesto lavorativo sano, ad adottare abitudini di vita che migliorino le loro condizioni di salute in generale”. Inoltre conferma che:
“Attualmente i problemi connessi ad una cattiva salute mentale costituiscono la quarta causa più frequente di inabilità al lavoro. L’OMS ritiene che, entro il 2020, la depressione diventerà la causa principale d’inabilità al lavoro. Il luogo di lavoro può costituire un ambiente privilegiato per la prevenzione dei disturbi psicologici e per la promozione di una migliore salute mentale.”

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