– MOBBING –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 20 giugno 2018 n. 16247
L’atteggiamento di sarcasmo tenuto dai colleghi nei confronti di un lavoratore spesso assente per questioni di salute configura mobbing: tale atteggiamento dei colleghi, infatti, non è né normale e inevitabile né giustificabile.
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 20 giugno 2018 n. 16256
Con questa recente sentenza la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul concetto e sul significato di mobbing, ossia quella figura alla quale vengono comunemente ricondotti tutti gli atti vessatori complessivamente compiuti dal datore di lavoro e inseriti in una sequenza connotata da un intento persecutorio.
Ebbene, la sentenza qui citata afferma e conferma un orientamento già precedentemente espresso dalla S.C., secondo il quale la figura del mobbing ha esclusivamente un rilievo giuridicamente descrittivo, posto che l’applicazione dell’art. 2087 c.c. – norma alla quale viene comunemente ricondotta la situazione di mobbing – non è vincolata al determinarsi di una condotta vessatoria complessiva, ma è destinata a operare anche rispetto a singoli comportamenti inadempienti o illegittimi che siano causa di pregiudizi alla salute e ad altre situazioni giuridiche del lavoratore.
– REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 19 giugno 2018 n. 16136
Il pensionamento per anzianità non impedisce la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, l’incompatibilità tra la pensione e i redditi da lavoro dipendente attiene solamente al rapporto previdenziale e non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro; inoltre, gli importi percepiti dal lavoratore a titolo di pensione nel periodo tra il licenziamento e la reintegrazione non vanno detratti dal risarcimento del danno dipendente dall’illegittimità del licenziamento.
– CONTROLLI A DISTANZA C.D. DIFENSIVI –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 28 maggio 2018 n. 13266
In tema di controllo a distanza del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall’art. 4 L. 300/1970 (nella versione precedente alle modifiche di cui al D.lgs. n. 151/2015) valgono anche in caso di controlli c.d. difensivi, ossia di quei controlli che sono diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori rispetto all’esatto adempimento delle obbligazioni connesse al rapporto di lavoro. Queste garanzie, invece, non operano quando le condotte illecite del lavoratore riguardino la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro.
Tribunale di Roma, Terza sezione Lavoro, sentenza 13 giugno 2018 n. 57668
Il nuovo art. 4 dello Statuto dei Lavoratori si applica anche al controllo sulla posta elettronica del dipendente: in particolare, se non è stata rispettata dal datore di lavoro la disciplina dettata dal Codice della Privacy non possono essere utilizzate a fini disciplinari le informazioni raccolte dall’account.
– DIRITTO DI DIFESA E PROCEDIMENTO DISCIPLINARE –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 22 giugno 2018 n. 16590
Con questa pronuncia la Corte di Cassazione ha nuovamente preso una posizione rispetto all’esercizio del diritto di difesa nel procedimento disciplinare.
In particolare, nel caso di specie un dirigente era stato licenziato perché, in sede di difesa da una contestazione disciplinare per un’assenza ingiustificata, aveva accusato il datore di lavoro di aver costruito a tavolino le accuse false e infamanti.
Intervenuta sul punto la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento datoriale, ricordando che il legittimo esercizio del diritto di difesa in giudizio (e anche in sede di procedimento disciplinare) non è legato al possesso dei requisiti di verità, continenza e pertinenza, come invece lo è il diritto di cronaca.
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 21 giugno 2018 n. 16434
Non è lecito il comportamento del datore di lavoro che desume la gravità di un inadempimento di un dipendente dal suo diniego di colpa e responsabilità in sede disciplinare, durante l’esercizio del suo diritto di difesa.
Il caso trae origine dal licenziamento di una cassiera di un supermercato, licenziata perché avrebbe consentito il passaggio e l’allontanamento di un cliente che avrebbe tentato di pagare con un bancomat privo di sufficiente provvista.
In sede di procedimento disciplinare la lavoratrice si era difesa negando ogni sua responsabilità, e i giudici di merito avevano valutato questo comportamento come indicativo di dolo.
Intervenuta in ultima istanza la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di merito, ricordando che l’esercizio del diritto di difesa, di natura primaria (art. 24 cost.) non può tradursi in un elemento sfavorevole sul piano della valutazione del comportamento sottoposto a giudizio.
– COMPENSAZIONE DELLE SPESE DI LITE –
Corte d’Appello di Milano, sezione Lavoro, sentenza 22 giugno 2018 n. 1033
Con questa recente sentenza la Corte d’Appello di Milano ha applicato i principi sanciti dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 77/2018) in tema di compensazione delle spese di giudizio.
Nel caso di specie la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso presentato da un gruppo di lavoratori e relativo a una vicenda di successione di appalti: dato che la fattispecie oggetto del giudizio era caratterizzata da una non agevole ricostruzione dei fatti sia sotto il profilo normativo per la pluralità delle discipline collettive coinvolte che per la complessità relativa alla modalità di svolgimento del cambio di appalto, il giudice ha compensato le spese tra le parti con la motivazione delle “gravi ed eccezionali ragioni”.
– LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 giugno 2018 n. 16702
L’assenza di prova circa il fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è equivalente alla “manifesta insussistenza” dello stesso.
Nell’ambito del regime introdotto dalla legge Fornero e poi innovato con il Jobs Act, è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro in caso manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Sul punto la Corte di Cassazione, richiamando la sua precedente pronuncia n. 10435/2018, ha accolto e ribadito una nozione particolarmente restrittiva di “manifesta insussistenza”, considerandola tale solo quando a una chiara, evidente e facile verifica risulti l’inesistenza del fatto giustificativo e non a ogni caso di mancanza di prova dello stesso.