– BONUS BEBE’ –
Tribunale di Bergamo, sezione Lavoro, sentenza 2 marzo 2018
Il c.d. “bonus bebè” deve essere riconosciuto anche ai cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale e in possesso di permesso di lavoro, risultando il provvedimento di diniego dell’INPS discriminatorio.
Diversi cittadini stranieri in possesso di un regolare permesso unico per lavoro hanno chiesto il riconoscimento del c.d. bonus bebè (art. 1, comma 125, L. 190/2014); l’INPS ha però rigettato le domande su due rilievi: la modalità di presentazione (via pec anziché telematica) e perché il bonus spetterebbe solo ai titolari di permesso di soggiorno UE di lungo periodo.
Il Tribunale di Bergamo, dopo aver affermato che la domanda doveva ritenersi validamente inoltrata anche via PEC, ha dichiarato il diritto dei ricorrenti a percepire il bonus, presentazione della domanda, affermando il contrasto della norma interna rispetto alla Direttiva, non recepita dal nostro ordinamento, ma direttamente applicabile dal Giudice in ragione della sua efficacia verticale, che riconosce il diritto alla parità di trattamento ai cittadini dello Stato, di lavoratori regolarmente soggiornanti.
Rilevando la reiterazione della condotta discriminatoria dell’INPS, il Tribunale ha altresì condannato l’Istituto a dare adeguata comunicazione del bonus ai soggetti legittimati alla richiesta e ad adeguare i moduli online per la domanda.
– LICENZIAMENTO PER INIDONEITA’ FISICA SOPRAVVENUTA –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 14 febbraio 2018 n. 3616
In caso di permanente inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, il giustificato motivo di recesso dal contratto di lavoro non può essere ravvisato nella sola impossibilità di eseguire le mansioni a cui il lavoratore era addetto.
Un’interpretazione secondo buona fede del contratto di lavoro, infatti, impone di ritenere che incomba sul datore di lavoro l’onere di provare l’inutilizzabilità del lavoratore anche in mansioni diverse, non solo equivalenti a quelle già svolte, ma eventualmente anche inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile dall’impresa secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente predisposto dall’imprenditore.
– INFORTUNIO SUL LAVORO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 14 marzo 2018 n. 6410
In caso di infortunio sul lavoro, risponde dello stesso solo l’effettivo responsabile, a prescindere dalla assunzione della qualifica formale: è quanto affermato dagli ermellini all’esito di un giudizio in cui un datore di lavoro ha sostenuto che l’infortuni occorso al capo-squadra non poteva essergli imputato, dal momento che il capo-squadra rivestiva, nello stesso tempo, la qualifica di responsabile del cantiere.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ricordato che non è sufficiente la qualifica formale di responsabile per addebitare la responsabilità di un infortunio ma, viceversa, questa grava sull’effettivo preposto se vi è stata una formale investitura nel ruolo, comprensiva di addestramento anche con riferimento ai profili di sicurezza sul lavoro.
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 12 marzo 2018 n. 5957
Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio causato dalla cosa in sua custodia, salvo che non provi il caso fortuito: nel caso oggetto di pronuncia l’infortunio era stato provocato – durante i lavori per la costruzione di una galleria – dall’esplosione di una carica inesplosa mentre si stava procedendo a predisporne una nuova.
Sul punto la Corte non ha ravvisato solo una responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., ma anche una ulteriore responsabilità ex art. 2051 c.c. (sempre che il lavoratore sia in grado di provare il danno e il nesso causale richiesto) perché l’infortunio era avvenuto dentro al cantiere affidato in custodia all’impresa del datore di lavoro.
– CONTRATTO DI LAVORO PART-TIME E CLAUSOLA A CHIAMATA –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 20 marzo 2018 n. 6900
In caso di introduzione nel contratto di lavoro part-time di una clausola “a chiamata” sussiste il diritto del lavoratore al risarcimento dei danni, da liquidare equitativamente. La clausola “a chiamata”, infatti, viola la regola secondo la quale nel contratto a tempo parziale deve essere determinata la collocazione temporale dell’orario di lavoro e dovrebbe anzi comportare un incremento della retribuzione per tenere conto della maggiore onerosità della prestazione: in mancanza il lavoratore ha diritto al risarcimento del relativo danno (che è quindi un danno in re ipsa).
– PATTO DI NON CONCORRENZA –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 2 gennaio 2018 n. 3
La previsione, in un contratto, di rimettere ad un arbitro nominato dal datore di lavoro la risoluzione del patto non concorrenza sostanzia una clausola nulla per contrasto con norme imperative.
Ai sensi dell’art. 2125 c.c., infatti, la limitazione allo svolgimento dell’attività lavorativa deve essere contenuta entro precisi limiti di oggetto, tempo e luogo, ed essere compensata da un corrispettivo di natura retributiva: per questo motivo non è possibile permettere al datore di lavoro di incidere unilateralmente sulla durata temporale o sulla portata patrimoniale del vincolo.
– CONTESTAZIONE DISCIPLINARE –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 20 marzo 2018 n. 6889
La Corte di Cassazione, confermando il proprio ormai costante orientamento, ha ribadito che la contestazione disciplinare è rispetta il principio di specificità solo se indica tutti gli elementi del fatto contestato essenziali per una completa difesa del lavoratore.
– EFFICACIA PROBATORIA DEI MESSAGGI DI POSTA ELETTRONICA –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 8 marzo 2018 n. 5523
La Corte, pronunciatasi del giudizio relativo ad un licenziamento di un dirigente, ha confermato come già fatto che la corrispondenza via posta elettronica ordinaria non può essere considerata quale documento idoneo a fare piena prova del suo contenuto e della provenienza, ma è elemento liberamente valutabile dal giudice; al contrario della posta elettronica certificata.
– VERBALE DI CONCILIAZIONE IN SEDE SINDACALE –
Tribunale di Roma, II sezione Lavoro, sentenza 7 novembre 2017 n. 9007[1]
Ai fini della validità ed efficacia del verbale di conciliazione in sede sindacale non è necessario che i soggetti firmatari vi abbiano apposto la propria firma nello stesso tempo e luogo: a tal proposito è possibile che la conciliazione si perfezioni anche tramite lo scambio di posta elettronica.